paesaggio con marciteSino agli anni ’50 le marcite hanno rappresentato una delle caratteristiche peculiari  del paesaggio attorno a Crescenzago.

La marcita (marscida in milanese) è una coltura tipica di tutta la pianura lombarda, con origini antichissime. Le marcite furono una tecnica che si sviluppò nel XII secolo nelle grange, grandi fondi agricoli di proprietà delle abbazie, in particolare fu portata avanti dai Certosini dell’Abbazia di Chiaravalle che bonificarono le aree paludose a sud-est di Milano.

Il nome marcita deriva probabilmente dal tardo latino pratum marcidum, nome che i latini davano ai prati coperti con acque che nel periodo invernale sfruttando la temperatura dell’acqua consentivano l’accrescimento dell’erba da foraggio con molto anticipo rispetto ai prati tradizionali. Altre fonti fanno derivare il nome dalla consuetudine, negli scorsi secoli, di lasciare l’ultimo taglio invernale a “marcire” con lo scopo di concimare il prato. Secondo un’ulteriore  interpretazione il nome proviene da marzo perché è il mese in cui si opera solitamente il primo taglio di erba.

Crescenzago ha avuto un legame particolare con questa tecnica agricola, un illustre crescenzaghese, l’avvocato Domenico Berra, (1771-1835), proprietario terriero, fu uno strenuo fautore della coltura delle marcite, nel 1811 in un articolo intitolato Delle marcite, inserito negli Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia (1), illustrò la grande importanza economica di questa coltivazione descrivendone anche le tecniche necessarie per realizzarla.

Negli anni successivi proseguì le ricerche e completò la trattazione in un volume intitolato “Dei prati del Basso Milanese detti a marcita(2).

La marcita è un prato che anche nel periodo invernale, mediante la copertura continuativa con acque irrigue, è in grado di produrre erba per il bestiame. Le acque provenienti dai fontanili, che mantenevano una temperatura di 6-8 °C  anche nei periodi invernali erano ideali per irrigare le marcite ma anche le acque provenienti dal Lambro e dal Naviglio, utilizzate dalla maggioranza dei poderi di Crescenzago assolvevano egregiamente la loro funzione.

La marcita è percorsa da un velo d’acqua in costante movimento, che generalmente deborda da un fosso di alimentazione a fondo cieco; per consentire il movimento uniforme dell’acqua, il terreno è caratterizzato da una leggera pendenza, dal lato opposto rispetto al fossato di alimentazione è situato un fosso drenante che convoglia le acque. L’acqua così raccolta può essere riutilizzata per irrigare una marcita posta a valle ed il meccanismo può ripetersi più volte.

Durante l’estate la marcita non differisce sostanzialmente da un comune prato  irriguo, ma d’inverno assume la sua specificità mantenendosi verde e producendo erba che viene falciata al principio e alla fine dell’inverno, infatti il primo taglio viene effettuato a inizio marzo e l’ultimo a metà dicembre.

Nella immagine si vede come l'acqua che scorre sulla superficie tenga libero il manto erboso dalla neve che ricopre il resto della pianura. (da FERRARI V., UBERTI E. - I fontanili del territorio cremasco, Tip.Donarini & Locatelli, Crema 1979)

Lo sviluppo continuato della vegetazione rende possibile effettuare annualmente sino a nove tagli contro i 4-5 mediamente ottenuti nei prati irrigui tradizionali.

La presenza delle marcite ebbe negli scorsi secoli un grande e benefico impatto economico. L’alimentazione del bestiame con erba fresca per molti mesi favoriva la produzione di latte e di conseguenza aumentava notevolmente anche la capacità di produrre dei derivati del latte (burro, ricotte, formaggi).

Da una statistica ufficiale dell’annata agraria 1908/1909, su 24.500 ettari di prati marcitori censiti su tutto il territorio nazionale, Milano ne annoverava quasi la metà (3).

Nel territorio di Crescenzago c’era una distesa ininterrotta di marcite nei terreni delimitati a sud dal dazio di via Padova ed ad ovest dalla Martesana, area che in seguito sarebbe stata parzialmente occupata dalle case della cooperativa ACLI di via Padova 351 e 353.

Prima degli anni ’50, via Berra e via Giulietti terminavano in aperta campagna e delimitavano l’area abitata a sud di Crescenzago; da quella zona sino a Cimiano c’erano moltissime marcite intervallate da filari di gelsi, la costruzione di via Palmanova ha distrutto quell’ecosistema.

Anche nei territori di Crescenzago ad est del Lambro, una cospicua  porzione dei terreni delle cascine Melghera ed Olgettina erano coltivati a marcita.

Ripresa aerea del 1955. Si vede la grande area coltivata a marcita a nord di via Padova tra la frazione "Tre case" ed il dazio. Si distinguono i numerosi fossi di alimentazione e quelli drenanti paralleli tra loro che formano tanti spicchi di prato chiamate "ali".

Ai giorni nostri molti fattori hanno concorso a rendere le marcite non più economiche: l’utilizzo nell’alimentazione bovina di mangimi bilanciati a base di mais, la scomparsa delle risorgive, le acque inquinate, i costi di gestione molto onerosi e le difficoltà di utilizzare le moderne macchine agricole su superfici strette ed irregolari.

In alcune zone, per preservare questa pratica agricola plurisecolare, le poche marcite rimaste sono oggetto di tutela, come ad esempio nel Parco Agricolo Sud Milano dove sono ancora presenti una quarantina di marcite. Il rischio concreto, è quello di vedere andare perduto per sempre una importante testimonianza della nostra storia ed un patrimonio naturalistico e paesaggistico unico nel suo genere.

Oggi a Crescenzago, come nel resto del territorio padano, le marcite sono pressoché scomparse.

Nell’area sud del Parco Lambro di fronte al centro sportivo Schuster rimangono alcuni terreni coltivati a marcita ma è difficile individuarli perchè sono da anni senza manutenzione.

I terreni non sono coperti di acque nelle stagioni invernali e i fossi di alimentazioni (chiamati adacquatori) e quelli drenanti (chiamati colatori) che andrebbero annualmente puliti sono intasati di detriti.

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Il territorio di Crescenzago, ormai completamente urbanizzato non si presta più a questa coltivazione, per comprendere come siano “lontani” dai giorni nostri l’atmosfera ed il paesaggio delle marcite è bene ricordare queste parole di Gianni Brera (4) … La nebbia viene tagliata con il machete, filari di pioppi come fantasmi sorpresi e irrrigiditi dal gelo. Queruli fossi. Ombre luminose su dalle rogge di fontanile. Marcite a perdita d’occhio…

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(1) D. Berra – Delle marcite – Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia n. XXXII (agosto 1811)

(2) D. Berra – Dei prati del Basso Milanese detti a marcita – Regia Stamperia di Milano (1822).

(3) G. Goi – L’autunno delle marcite – Corriere della Sera (16 dicembre 2012)

(4) G. Brera – Lombardia amore mio, vol.1 – BiEditoriale, Milano (1984).