IL BISCIONE, l’insegna Viscontea definita da Dante Alighieri “la vipera che il milanese accampa” (La Divina Commedia, Purgatorio, Canto VIII ) è uno dei simboli più noti e importanti di Milano. E’ stato utilizzato come simbolo, dal Comune, dall’ Alfa Romeo, dall’ Inter e da Mediaset ed è diventato un simbolo di “milanesità”. Il biscione apparve sullo stemma dei Visconti a partire dal 1100.

Sulle sue origini le ricostruzioni sono discordi e come spesso succede risulta pressoché impossibile separare la realtà dalle leggende che si perdono nella notte dei tempi. Di seguito sono riportate alcune tra le versioni più accreditate sull’origine dello stemma.


Il Cavaliere Saraceno Voluce

Bonvesin de la Riva (1240-1313) frate membro della confraternita laica degli Umiliati nonchè storico e cantore della Milano Viscontea, in merito allo stemma utilizzato dai Visconti così scrive: «Viene offerto dal comune di Milano a uno della nobilissima stirpe dei Visconti che ne sembri il più degno un vessillo con una biscia dipinta in azzurro che inghiotte un saraceno rosso; e questo vessillo si porta innanzi ad ogni altro; e il nostro esercito non si accampa mai se prima non vede sventolare da un’antenna l’insegna della biscia. Questo privilegio si dice concesso a quella famiglia in considerazione delle vittoriose imprese compiute in Oriente contro i saracini da un Ottone Visconti valorosissimo uomo». In effetti Ottone Visconti partecipò realmente alla Crociata e si narra che durante l’assedio della Città Santa affrontò in duello il cavaliere saraceno Voluce (Volux) famoso per il suo coraggio che portava come insegna sulle armature un serpente che divorava un uomo. Il duello fu lunghissimo e cruento e finì con la vittoria di Ottone che portò a Milano l’ armatura del saraceno ed a ricordo di quel memorabile duello utilizzò l’ insegna del biscione per la sua casata. Successivamente anche Galvano Fiamma (1283-1344) teologo e storico domenicano cita lo stesso episodio per la nascita dello stemma visconteo ma è probabile, anzi certo che avesse letto le cronache di Bonvesin de la Riva. I dubbi sulla veridicità delle vicende narrate nascono dal fatto che è accertato che Matteo Visconti, nipote di Ottone, conscio delle anonime origini del proprio casato, incaricò gli scrittori della sua corte di nobilitare il proprio casato ricostruendo ad arte storie che narrassero nobili e coraggiose gesta degli antenati.

Serpente di Mosè

Agli inizi dell’XI secolo Ottone III incaricò l’arcivescovo Arnolfo di andare alla corte di Bisanzio per concordare le sue nozze con una principessa orientale. Quando intraprese il viaggio di ritorno, Arnolfo oltre alla promessa sposa portò anche altri 2 doni preziosi: un serpente bronzeo che si favoleggiava risalisse ai tempi di Mosè ed una misteriosa statua che mediante un complesso marchingegno era in grado di sillabare alcune parole e nel contempo di predirre il futuro. Durante il viaggio di ritorno in nave verso le coste italiane la statua predisse la morte del futuro sposo. Con grande sgomento quando approdarono a Bari furono raggiunti dalla notizia dell’improvvisa morte di Ottone proprio come la statua aveva predetto. La principessa spaventata rientrò subito a Bisanzio portando con sé la statua parlante, mentre l’arcivescovo Arnolfo portò a Milano il serpente di bronzo. Da allora il serpente bronzeo divenne il simbolo della città. Il serpente è tuttora visibile nella chiesa di Sant’Ambrogio su una colonna di porfido a metà della navata centrale.

Azzone Visconti

Azzone, nipote dell’arcivescovo Giovanni Visconti comandava l’esercito milanese impegnato in una guerra contro Firenze. Le truppe milanesi, in attesa di porre sotto assedio la città si erano accampate nella brughiera attorno a Pisa. Azzone, stanco per la lunga guerra, appoggiò il cimiero sul prato, si sdraiò al riparo delle piante e si addormentò. Mentre riposava, una vipera si intrufolò nel suo cimiero. Al risveglio Azzone, si mise il cimiero e la vipera, invece di morderlo come sarebbe stato logico, uscì da una fenditura e sibilando se ne andò tra l’erba. Mentre i suoi uomini che osservarono la scena erano terrorizzati, Azzone, mostrò coraggio e freddezza e per ricordare l’episodio, decise di raffigurare la vipera nello stemma della casata. Secondo gli storici di corte correva l’anno 1323.

Desiderio

La leggenda racconta che il re longobardo Desiderio, stanco per una battaglia, si addormentò all’ombra di un albero. Mentre riposava una vipera strisciò sul suo corpo e gli si arrotolò intorno al capo come una corona. Al risveglio del re la vipera sciolse le sue spire e se ne andò. Desiderio, non si era accorto di nulla ma fu messo al corrente della vicenda dai suoi uomini che riposavano vicino a lui. Desiderio fu talmente scosso dall’accaduto che decise di inserire il serpente nelle insegne della sua famiglia. L’analogia tra questa leggenda e quella precedente riguardante Azzone Visconti è molto forte, probabilmente perchè, in quel periodo storico, si cercava di accreditare Desiderio, ultimo re dei Longobardi, come antenato dei Visconti.

Uberto Visconti e il Drago

Poco dopo la morte di Sant’Ambrogio a Milano arrivò un drago. La bestia viveva in una caverna fuori dalle mura . Spesso qualche viandante finiva divorato dal drago. Molti cavalieri milanesi tentarono di liberare la città dall’indesiderato ospite, ma finirono tutti divorati. La notizia si sparse e in breve tempo la situazione divenne insostenibile; gli abitanti avevano paura ad uscire, le vie di comunicazione con le altre città erano bloccate e il commercio era praticamente scomparso, Milano era bloccata. Un giorno Uberto Visconti giunse alla dimora del drago proprio mentre il drago stava divorando l’ennesimo bambino. Uberto prima liberò il bambino, poi cominciò la sua battaglia con il drago. I cronisti dell’epoca favoleggiarono che il duello duro’ due giorni. Solo al tramonto del secondo giorno Uberto ebbe la meglio. Tagliò la testa del drago e rientrò trionfante a Milano. Il Visconti a futura memoria decise di raffigurare il drago che divorava il bambino sullo stemma della sua famiglia.

Tradizione Longobarda

Il Biscione, in questo caso, deriverebbe da una antica usanza dei Longobardi che lo utilizzavano come amuleto, erano infatti soliti portare il serpente in un sacchetto appeso al collo. Fu adottato dai Visconti per dimostrare continuità con i Longobardi e perchè il drago era un simbolo araldico di fedeltà e di valore militare. L’uomo (o il bambino) raffigurato tra le sue fauci rappresenterebbe i nemici dei Visconti che il Biscione è sempre pronto a distruggere.

Drago Tarantasio

Secoli fa nelle campagne tra Lodi e Crema è storicamente provato che esistesse il lago Gerundo. Il suo bacino era costituito un insieme di paludi, e corsi d’acqua ed era alimentato dagli straripamenti dell’Adda, del Serio e dell’Oglio e dalle risorgive di provenienza sotterranea, i cosiddetti fontanili. Il lago era poco profondo ma molto ampio, sul lago emergevano numerose terre, la più grande era l’isola Fulcheria su cui si sviluppò la città di Crema. Sulle coste del lago Gerundo, nella zona dell’attuale Villa Pompeiana (frazione di Zelo Buon Persico), si ritiene si trovassero una villa romana e un porto fatto costruire dal patrizio romano Pompeo Strabone (150-80 a.C.), Strabone fu un personaggio molto influente nella zona che è attualmente il Lodigiano, in suo onore, dopo la conquista della Gallia Cisalpina da parte dei romani, uno dei maggiori centri abitati della regione venne ribattezzato come Laus Pompeia (Lodi Vecchio). Il lago Gerundo scomparve definitamene nel corso del XIII per opera della bonifica iniziata dai monaci cistercensi e benedettini, proseguita nel 1220 con la creazione del canale Muzza. Secondo una leggenda dell’Alto Medioevo, nel lago Gerundo viveva un enorme serpente: il drago Tarantasio, vero terrore per gli abitanti del luogo. Il drago si avvicinava alle rive nutrendosi di piccoli mammiferi e bambini, con il suo alito inquinava l’acqua ed era causa di epidemie Un mostro favoloso in cui la fantasia popolare ha probabilmente voluto impersonificare le esalazioni mefitiche di quelle zone malariche. Un giorno nei pressi di Calvenzano (vicino a Treviglio) arrivò un valoroso cavaliere, il fondatore della famiglia Visconti, che uccise il drago e adottò il biscione come simbolo della sua casata. Secondo una credenza popolare si racconta che il drago fosse poi stato trasportato come trofeo in una chiesa della pianura lombarda. Effettivamente ad Almenno San Salvatore, in provincia di Bergamo, nell’ abside ligneo della chiesa di San Giorgio,  è appeso  un giganteso osso ricurvo di circa 2,5 metri, che la credenza popolare indica come la costola del leggendario drago che dimorava nel lago Gerundo.