Tutti gli idiomi, lingue o dialetti che siano, dovrebbero avere uguale dignità ed importanza, attraverso di essi è possibile leggere la storia della nostra terra e cogliere mediante gli influssi linguistici il succedersi dei popoli e delle culture che hanno contribuito al formarsi della società in cui viviamo. Il dialetto milanese, così come i molti altri dialetti parlati in Italia, invece, è spesso erroneamente considerato come una degradazione, una forma degenerata e minore della lingua italiana, un mezzo volgare di espressione.

La distinzione tra lingua e dialetto è spesso arbitraria e sicuramente non dovrebbe implicare nessuna gerarchia. L’uso dei due termini è il risultato di una scelta a livello politico molto comune che qualifica come lingua, la lingua ufficiale dello stato ed applica a tutte le altre parlate la qualifica di dialetti. Il linguista norvegese Einar Haugen, ha ben llustrato questa situazione affermando: “Una lingua è un dialetto con alle spalle un esercito e una flotta”. Lo stato italiano, in passato, ha fortemente osteggiato l’utilizzo dei dialetti. Dopo l’unità d’Italia, uno dei primi atti del governo fu quello di trasferire molti insegnanti lontano dai luoghi d’origine con l’intento di impedire di fatto l’utilizzo nelle aule dei dialetti locali sconosciuti agli insegnanti. In seguito Mussolini nel 1932, attraverso il Ministero della Cultura Popolare (MinCulPop) dichiarò apertamente guerra all’uso dei dialetti e a tutte le forme di regionalismo.

ORIGINE DEI DIALETTI

La stragrande maggioranza dei dialetti italiani così come le lingue nazionali neolatine (portoghese, spagnolo, francese, italiano e rumeno) hanno le loro origini nel latino ma non nel latino classico che si studia a scuola tramandatoci da Cicerone e Virgilio. Per molti anni il latino classico rimane quasi immutato e serve per redigere leggi, atti ufficiali, documenti. Il latino parlato dal popolo umile (sermo vulgaris) subisce invece una profonda trasformazione in funzione delle zone geografiche dove viene parlato. Tutti gli idiomi neolatini nascono con tempi e modalità a volte molto diverse in relazione a circostanze storiche differenti, in Italia settentrionale si innesteranno sul sostrato celtico, nell’Italia centrale e meridionale utilizzeranno il sostrato degli umbri e dei sanniti.

DIALETTI DELL’ ITALIA SETTENTRIONALE

Nel 1853 il dialettologo goriziano Bernardino Biondelli, nel suo “Saggio sui dialetti gallo-italici”, scriveva che “ … il piemontese, il ligure, il lombardo e l’emiliano-romagnolo si distaccano dal sistema italiano vero e proprio, …” Qualche anno dopo, compiuta l’unità d’Italia, il nazionalismo imperante dell’epoca non poteva accettare che i popoli padani, principali fautori del risorgimento, parlassero una lingua più simile al francese che non al toscano e molti studiosi zelanti ritennero doveroso riclassificare i dialetti del nord-Italia come “Italoromanzi”.

Successivamente, passato il pathos risorgimentale, la maggioranza dei glottologi classificarono l’insieme dei dialetti che si parlano nel nord-Italia come “Gallo-romanzi”, strettamente legati al francese, al provenzale ed al catalano. Linguisti illustri come Angelo Monteverdi (Manuale di Avviamento agli Studi di Linguistica, Milano 1952) catalogano la diversità della lingua denominata “alto italiana” come separata dal sistema linguistico del toscano, base della lingua italiana. Anche oggi, seguendo la tesi formulata nel 1969 da uno dei più grandi linguisti del XX secolo, Heinrich Lausberg nel suo trattato “Romanische Sprachwissenschaft”, la stragrande maggioranza degli studiosi è propensa a suddividere in due ben distinte aree linguistiche la grande area (chiamata Romània) ove si parlano lingue neolatine, L’area occidentale, comprendente Portogallo, Spagna, Francia e Nord-Italia e la Romània orientale, comprendente l’Italia centro-meridionale, la Sicilia, la Corsica, la Romanìa e la Moldavia. Un confine virtuale, ma secondo i glottologi nettissimo, tra queste 2 realtà linguistiche corre sulla dorsale appenninica, sulla cosiddetta Linea Gotica congiungendo idealmente La Spezia a Rimini.

DIALETTO MILANESE (o MENEGHINO)

Il dialetto milanese fa parte della grande famiglia del dialetto lombardo occidentale che è un insieme di dialetti, intelligibili tra loro, della grande famiglia linguistica gallo-romanza, parlato nel nord Italia e nella Svizzera meridionale. Il dialetto milanese si definisce anche dialetto meneghino dal nome della maschera caratteristica della città di Milano Meneghin, il cui nome deriva da Domenichino, a sua volta diminutivo di Domenico, servitori così chiamati perché presi a servizio solo nei giorni di festa dalle famiglie milanesi in occasione di ricevimenti, per ostentare uno status sociale ed economico inesistente.

I PRINCIPALI DIALETTI LOMBARDI

Lombardo occidentale

Milanese (o Meneghino): parlato nella zona di Milano, a Monza e nella bassa Brianza.

Brianzolo: parlato nel resto della Brianza

Comasco

Lecchese

Laghèe: parlato sulla riva occidentale del lago di Como

Valassinese

Ticinese: oltre che nel Canton Ticino, parlato in alcune zone dei Grigioni

Ossolano

Varesino

Chiavennasco

Valtellinese

Novarese

Lodigiano

Lombardo orientale

Bergamasco

Cremasco oltre che a Crema parlato nella bassa bergamasca

Bresciano

Trentino occidentale: parlato nel trentino occidentale (con forti influssi veneti)

Lombardo meridionale

Cremonese

Mantovano: marcatamente influenzato dai dialetti emiliani

RICONOSCIMENTO UFFICIALE DEL DIALETTO LOMBARDO

La specificità del dialetto lombardo, la non intelligibilità con l’Italiano e lo status di lingua appartenente al ceppo gallo-romanzo sono state sancite anche nel RED BOOK (Endangered languages in Europe: Index by classification), “Libro rosso sulle Lingue in pericolo” dell’Organizzazione Culturale Scientifica e Educativa delle Nazioni Unite (UNESCO) a cura del Prof. Salminen dell’Università di Helsinky.